L'esperienza del corpo: uno spazio di incontro per adolescent3



"Il corpo è diventato organismo da sanare, forza lavoro da impiegare, carne da redimere, inconscio da liberare. Nel corpo, nella sua naturale ambivalenza, è leggibile la storia culturale dell'Occidente"

(Umberto Galimberti)


Di Katia Cazzolaro *

Del e sul corpo si dice e si pensa tanto, molto meno, insieme al corpo, si fanno esperienze di soggettività consapevole.

L'esperienza della corporeità è complessa, contraddittoria, mutevole e abitata da modelli culturali e stereotipi poco esplorati, anche in educazione.

Nell'adolescenza si fanno i conti col proprio corpo in maniera esplosiva e spesso ci si trova distanti da ciò che si vorrebbe essere. Sovente il corpo viene piegato a trasposizioni, rinunce e sacrifici per corrispondere all'idea di ciò che culturalmente viene considerato esteticamente bello. Il corpo è sovraesposto, consumato, agghindato, brandizzato. In particolare sui social, il corpo è fatto oggetto di bodyshaming (forma di denigrazione atta a far vergognare qualcuno del proprio corpo) o di shitstorm ( valanga di commenti offensivi o minacciosi). Fenomeni come grassofobia (lo stigma sociale che colpisce le persone grasse) e cyberbullismo, hanno come nemici il corpo e le emozioni altrui.

Il corpo non è solo sovraesposizione, è anche ingombro da nascondere, ad esempio quando si ha una soggettività non conforme: se si è grassi, troppo magri, disabili o quando si fa una transizione di genere.
Di tutto questo essere corpo, non se ne parla come una galassia per stabilire diritti, semplicemente, in educazione, non se ne parla; l’argomento è tabù. Ma più tabù culturali legittimiamo, più le ragazze e i ragazzi si troveranno soli ad elaborare passaggi complessi della loro crescita.

Eppure, basta pensare al ruolo che l'incontro tra corpi ha nella scuola, tra classi sovraffollate e liberarsi di ormoni, per capire che la corporeità non può essere messa da parte. Bisogna decidersi a trattare la corporeità come snodo pedagogico, lasciando perdere timori e imbarazzi perchè tutto quel che non trattiamo come educatori, i ragazzi se lo vanno a prendere altrove: nella iper sessualizzazione, nella solitudine di dover imparare da sè le contraddizioni, nella spinta alla mercificazione. Per questo, ci proponiamo di accompagnare le ragazze e i ragazzi a tematizzare che più che un corpo-oggetto noi siamo il corpo che abitiamo: imparare a viverne le contraddizioni non è semplice ma sarà il lavoro di tutta la vita.

La nostra cultura, anche quella medica, ha operato la scissione tra corpo e psiche ma è solo ristabilendo la loro connessione che la nostra esistenza materiale e spirituale potrà essere attraversata con maggiore consapevolezza. Per farlo, dobbiamo cominciare presto, il prima possibile, mettendo al centro la componente affettiva e, in particolare, i sentimenti e le emozioni provate verso il proprio corpo nella fascia di età tra gli 11 e i 18 anni.

Però non basta riflettere sul rapporto con la propria corporeità, occorre guardare al quadro socio-educativo dato che siamo appena usciti da una pandemia (sindemia) che ha impattato in maniera imponente sui giovani.

Vediamo alcuni dati.

Il protratto isolamento sociale ha fatto da detonatore per l'emersione di fenomeni preoccupanti che, francamente, sono stati poco presi in considerazione. La Società italiana di Pediatria riporta che da marzo 2020 a marzo 2021 si è verificato presso i giovani un incremento dei casi di depressione​ del 115%, del 78,4% dei disturbi della condotta alimentare, e che gli accessi ai PS per “ideazione suicidaria” sono aumentati del 174%. La Società italiana di Neuropsicofarmacologia ha parlato di quinta ondata pandemica riferendosi a quella mentale.
Come rileva l'Agenzia Nazionale per i giovani, più di sei giovani su dieci (62%) hanno cambiato la propria visione del futuro a seguito della pandemia: solo per il 22% il futuro sarà migliore, mentre il 40% ritiene che sarà peggiore. Manca una promessa di miglioramento e benessere per le giovani generazioni e di fronte a un futuro ignoto prevalgono incertezza (49%) e ansia (30%), che in alcuni casi si trasformano in paura (15%) e pessimismo (13%) soprattutto dinanzi a eventi le cui dimensioni e conseguenze vanno oltre la capacità di previsione e di intervento dei singoli.

Siamo passati, in sostanza, dal recludere in casa i ragazzi al “liberarli” improvvisamente senza tematizzare cosa è accaduto nel mezzo.

Nel mezzo, è accaduto per esempio che mentre si è smaterializzato dalle vite in presenza, il corpo si sia iper-materializzato sui social impattando su alcune questioni come la distorta percezione delle dimensioni e delle forme del corpo (Artoni et al, 2021), i vissuti emotivi di insoddisfazione (body dissatisfaction) (Aparitio-Martinez, 2019), i disturbi alimentari conclamati, la solitudine, la depressione.
Bisogna riprendere in mano il filo e andare ad ascoltare emozioni che sono sempre esistite ma che si sono complessificate negli ultimi tre anni come l’antinomia tra un corpo imprigionato e uno liberato, la rabbia, il desiderio di socialità e di gruppo, la solitudine, il  senso di inadeguatezza o l’imperativo di doversi adeguare a modelli precostituiti che impongono di essere sani, forti, efficienti, in una società sempre più contraddistinta da diseguaglianze sociali. La pandemia, come sappiamo, non ha colpito tutti allo stesso modo e ha prodotto enormi sacche di povertà.

E’ incredibile come l’educazione si sia disinteressata ai giovani durante il biennio pandemico. Un disinteresse che non ha prodotto per magia una maggiore inclusività ma ha semmai rinforzato il paradigma della performance e dell'efficienza contraddistinto da quel lessico muscolare e belligerante che abbiamo conosciuto tutti: sconfiggere il virus, combattere il nemico, lottare per la vittoria, allontanare la sconfitta, ringraziare gli eroi, etc

Assai prima della pandemia, abbiamo fatto della fragilità un nemico, dell'imprevisto un tabù e del corpo una macchina da mantenere giovane ed efficiente, una divinità da idolatrare che poco ha a che fare con il nostro corpo reale. La gestione dell'emergenza da parte delle istituzioni, ha soltanto rinforzato la paura e la sensazione che dovessimo combattere in trincea per la nostra sopravvivenza.

Per sintetizzare, occorre pensare educativamente il corpo sovraesposto sui social, il corpo fatto oggetto di fantasie di perfezione o all'opposto di vergogna e nascondimento, il corpo che non va mai bene perché non si può stare bene se non c'è aspettativa di futuro o, per meglio dire, se il futuro si gioca tra l'avere successo o esserne esclusi. Nel mondo, insomma, ci si va col proprio corpo, non solo con le proprie capacità intellettuali o di resilienza. E ci si va con un corpo che appartiene a generi culturalmente costruiti e a rappresentazioni stereotipate (ruoli e comportamenti attribuiti a donne e uomini che si caratterizzano come vere e proprie gabbie).

Non possiamo lasciare soli ragazze e i ragazzi: parlarne con loro è importante, non per bonificare moralisticamente i loro desideri ("devi, non devi - è giusto, è sbagliato"), ma per accompagnarli a guardarsi con gli occhi della propria unicità irripetibile e del proprio desiderio di realizzazione (che spesso si rivelano sorprendentemente diversi dai modelli culturali imposti).

Il gruppo è il setting adatto: ci si rispecchia, ci si accompagna, ci si fa accompagnare, ci si sente vulnerabili, ci si fa coraggio e, soprattutto, ci si confronta tra pari su questioni che devono saper sollecitare un pensiero critico.


Il nostro laboratorio permanete è attivo tutti i sabati mattina a Travedona Monate dalle 10.00 alle 12.00. Età compresa tra gli i 11 e i 18 anni (si formeranno gruppi divisi per età).
Si accede max 6 ragazzi per sessione con offerta libera a favore dell'Associazione.

Le organizzazioni (scuole, comunità minori, centri di aggregazione giovanile, società sportive, servizi sociali comunali etc) interessati ad implementare laboratori di esperienza, possono contattarci al seguente indirizzo email: direfare.va@gmail.com


* educatrice specializzata in consulenza pedagogica, consulente in crescita personale


 

sportello di ascolto

In occasione del giorno di Natale, sarà attiva una linea di ascolto gratuita per chi si trova in difficoltà. La pandemia ci ricorda che siamo tutt* vulnerabili e che la solitudine è uno stato assai più diffuso di quanto siamo portati a credere. La vita non è perfetta e l’umano si trova per natura in una condizione di rischio, anche se oggi il rischio è più che mai evidente.

Sentirsi soli, vulnerabili,  non deve destare vergogna e pregiudizio: in fondo, in questo periodo così complicato, siamo tutti un po' più soli e un po' più fragili. Chi non può stare coi propri cari il giorno di Natale, chi si sente sol*, chi è malat* o chi semplicemente desidera compagnia, a qualsiasi età, può chiamarci per uno scambio e un momento di conforto.

Per ragioni di setting, non verranno trattate dipendenze e disturbi psichiatrici.

Bisogna inviare un messaggio su whatsapp al 392/ 0453431 e prenotare il proprio spazio (telefonico o video online). Le persone anziane o non avvezze alla tecnologia, potranno telefonare direttamente.

L’incontro sarà condotto da Katia Cazzolaro, consulente pedagogica.

Potremo connetterci con la difficoltà e provare ad averne meno paura, con un po' di umanità e di poesia, insieme…

Siamo fatti per imparare

cosa possiamo imparare dalla crisi e dalla pandemia?

consulenza
recensioni

© Copyright ascoltopedagogico